Valtellinese di Sondrio, cattolico, radicale, è stato uno dei primi obiettori di coscienza, e per l’affermazione di questo suo diritto ha scontato lunghi periodi in carcere militare. Il 30 giugno del 1972 presso la sede del Partito Radicale a Roma ha luogo una conferenza stampa. Dodici obiettori di coscienza annunciano la loro decisione di non avere intenzione di indossare la divisa, e preferire il carcere, visto che non si riconosce loro di poter svolgere un servizio civile alternativo a quello militare. I dodici sono: Vittorio Adamo, Claudio Bedussi, Giuseppe Donghi, Carlo Filippini, Antioco Floris, Antonio Pietracatella, Luigi Redaelli, Giancarlo Reggiori, Luciano Scapin, Gianfranco Truddaiu, Giancarlo Vismara, Luigi Zecca. Luigi si presenta così: “Alla prima obiezione, doveva presentarsi presso il battaglione di Vipiteno il 6–6–1972. Laureato in matematica, ha insegnato per due anni in un istituto per geometri e da quattro anni svolge un servizio civile con i ragazzi caratteriali del centro Rita Tenoli di Traena (So); aderisce al Movimento Nonviolento per la Pace”.
Quella che segue è la dichiarazione di obiezione di coscienza di Luigi Zecca: un documento ciclostilato che appartiene all’archivio di questa rivista:
“Mi chiamo Luigi Zecca; sono un giovane valtellinese cattolico e mi rifiuto di prestare il servizio militare; il che può essere abbastanza scandaloso in una provincia che è per tradizione ottima riserva per il rifornimento di alpini e dove l’essere cattolici si esplica quasi unicamente nell’assistere alla messa domenicale. Per questo cercherò di spiegare i motivi che mi spingono e mi sorreggono in questa mia scelta. Solo pochi anni fa è stato chiaro per me che l’essere cattolico mi impegnava concretamente in ogni scelta della mia vita e non solo nella liturgia, per cui ho cercato uno stile di vita più aderente alla mia fede. Da alcuni anni mi reco con un gruppo di amici in un Istituto di ragazzi per cercare di portare loro un po’ di quell’amore e solidarietà che vengono loro negati dalla società. Per la verità devo dire che devo molto a quei ragazzi, anzi la mia obiezione praticamente è nata in mezzo a loro. Ora la cartolina precetto viene ad interrompere questo lavoro. Avendo ben chiaro in mente che lo scopo della mia vita è quello di servire il prossimo, non posso rispondere di sì. Dio mi si è presentato come Padre indicandomi chiaramente con ciò che tutti gli uomini sono miei fratelli e che devo essere disposto a dare la vita per loro. “Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici”. Per fare questo non è però richiesto di conquistare posizioni di prestigio e di potenza per poi distribuire dall’alto la mia carità, ma di vivere a contatto con gli umili, con i piccoli che sono quelli coi quali più facilmente Dio si identifica. Inoltre l’essere tutti fratelli e figli di Dio pone su un piano altissimo la persona umana, non solo, ma fa tutte ugualmente degne le persone, per cui non posso far parte di una struttura dove l’uomo viene dimenticato, ridotto a semplice strumento nelle mani dei sono tutti uguali, ma ci sono gli amici e i nemici, dove da portatore di vita quale dovrei essere corro il rischio di diventare strumento di morte. Cristo è venuto nel mondo per liberare l’uomo, ma non da sistemi politici errati, bensì nel suo intento rendendolo consapevole di tutta la sua dignità e grandezza, facendogli capire di avere dentro di sé la capacità di valutare il bene e il male, di assumersi in proprio la responsabilità delle sue azioni, anche se questo può portare alla più grande sofferenza, perché è al di fuori della logica umana soprattutto della logica dell’Esercito in cui ci si giustifica addossando ai capi la colpa di qualsiasi azione ed in cui l’agire di propria iniziativa è di per sé riprovevole. Credo quindi che, nonostante tutte le leggi, si debba prima obbedire alla propria coscienza che ad esse.
Certamente non mi sembra che giovino alla liberazione dell’uomo i cappellani militari che, confondendosi nell’esercito e accettando la gerarchia militare, servono solo all’istituzione per tenere buoni i soldati, per predicare un Dio nazionalizzato, che si prega solo per la nostra patria, per benedire le armi che dovranno uccidere dei fratelli. Mi sembra giunto il tempo che la Chiesa si stacchi dalle istituzioni di potere che le assicurano, ed è vero, una certa forza, ma che le impediscono di annunciare al mondo con tutta la sua forza il messaggio evangelico. È per lo meno strano che, pur non volendo che i suoi Ministri prestino il servizio militare, la Chiesa poi li inserisca nell’esercito, in posizione di comando. Piuttosto la strada che indica il Vangelo mi sembra un’altra: “Vi do un comandamento nuovo: amatevi l’un l’altro; come io ho amato voi, anche voi amatevi a vicenda. Da questo sapranno tutti che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”. Mi sembra implicita in queste parole l’esigenza di una comunità in cui ci si alleni all’amore vivendo a stretto contatto e riversandolo contemporaneamente nel mondo. Solo che la comunità si può fare quando le persone sono ugualmente responsabili e libere. Vi è infine un brano del Vangelo che è di per se stesso un indirizzo preciso da dare alla propria vita ed una potente risorsa di energia interiore: “Beati i costruttori di pace perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di loro è il regno dei cieli”. Non a caso i costruttori di pace sono messi accanto agli assetati fi giustizia, perché la pace non è solo assenza di guerra, ma possibilità di sviluppo di tutto l’uomo da parte di tutti gli uomini. Ho ben chiaro in mente che, finito di obiettare all’esercito non avrò con ciò finito di obiettare a questa società, basata sullo sfruttamento dell’uomo a vantaggio di pochi. Già la divisione del mondo in stati nazionali è un fatto violento e l’esercito una delle colonne portanti degli stati nazionali. Un primo passo in avanti in questo senso sarebbe la creazione di uno stato federale europeo, perché sarebbe il superamento cosciente del nazionalismo, la federazione mondiale.
Credo che l’unico mezzo per opporsi sia il metodo nonviolento che responsabilizza gli uomini facendoli agire in prima persona ed è con ciò già un fattore liberante e l’unico che rispetta il valore integrale della persona che si ha momentaneamente come avversaria. Sono convinto che le leggi umane non possono raggiungere la perfezione, credo tuttavia che sia dovere di tutti il cercare di migliorarle, per questo accetto con serenità il giudizio di un tribunale al quale non riconosco l’autorità di farlo, perché solo Dio può giudicare la mia coscienza.
Ho detto all’inizio che sono valtellinese; anche questo ha un peso nella mia decisione in questa società piena di contraddizioni noi valtellinesi ne viviamo una in particolare: pur facendo parte della Lombardia, che è la regione più ricca d’Italia, formiamo una zona depressa paragonabile al Sud. Praticamente non abbiamo un’economia, ci sono pochissimi insediamenti industriali e anche questi sono in difficoltà, sia per la gestione non legata ai mercati italiano ed europeo, sia per la mancanza di comode comunicazioni.
La nostra maggiore risorsa è l’emigrazione, cui è sottoposta buona parte della popolazione: si parla ormai di quasi 8mila emigranti su un totale di 160mila abitanti. Altra nostra risorsa è il contrabbando, data la nostra posizione di confine con la Svizzera, ma chiaramente questa non serve per l’elevazione della gente. Siamo praticamente tagliati fuori dal resto della regione, anche direi da un punto di vista culturale e di rinnovamento. La strada di cui abbiamo tanto bisogno per creare nuovi insediamenti industriali ci viene negata, perché rovina l’ambiente, come se non si potessero eseguire progetti che non rovinano niente e poi non è detto che venga prima l’ambiente dell’uomo. Recentemente si parla molto di vocazione turistica della Valtellina. Il che sarà anche molto suggestivo, ma in parole povere, mi sembra che voglia dire solo che i valtellinesi sono destinati, per il futuro, a fungere da camerieri ai milanesi che vengono per passare il fine settimana o le ferie fra il verde che non hanno più.
Solo una cosa arriva puntuale in Valtellina: la cartolina precetto. Con il mio rifiuto voglio indicare una via ai giovani: è passato il tempo in cui ci si poteva accontentare di chiedere la carità alla nazione; è ora che non siamo più tanto pronti a dire di Sì, ma che portiamo avanti con la lotta le nostre rivendicazioni. Invece del servizio militare potremmo svolgere servizi civili che sarebbero senza dubbio più utili alla nostra povera provincia. Lo Stato non può sperare di ricevere sempre senza mai dare! I Valtellinesi non possono servire solo per fare gli alpini e pagare le tasse! Non possiamo, non dobbiamo lasciare che ci si dimentichi di noi quando è il nostro turno di ottenere!”.
Di Luigi va ricordato il ruolo fondamentale nello sviluppo e radicamento delle prime Radio Radicali. Per anni è stato militante nel senso più vero e pieno del Partito Radicale. Infine è tornato nella “sua” Morbegno, dove è morto. Nel suo testamento non ha mancato di destinare una parte dei suoi averi al PR